LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DI SECONDO GRADO
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  su  appello  proposto da
 ufficio imposte dirette di Venezia avverso la decisione emessa  dalla
 c.t.  di  primo grado di Venezia sezione settima, il 16 dicembre 1988
 con il n. 607 e depositata il 6 febbraio 1989; presenti di udienza il
 contribuente dott. Mela; sentiti il relatore dott.  Innocenzo  Megali
 nonche' la parte, letti gli atti.
             FATTO E SVOLGIMENTO DEL RAPPORTO CONTENZIOSO
    Il sig. Luigi Patella Scola ha rivolto quattro distinte domande in
 data  25  giugno 1987, all'ufficio distrettuale delle imposte dirette
 di Venezia chiedendo  il  rimborso  di  Irpef  ed  Ilor  erroneamente
 versate  con le dichiarazioni dei redditi presentate negli anni 1982,
 1983, 1984, 1985 e 1986.
    Rilevava il ricorrente di non  aver  considerato  nell'indicazione
 dei  redditi  di  un  immobile  sito  a  Venezia - Cannareggio 4496 -
 soggetto al vincolo delle leggi sulla tutela dei  beni  ambientali  e
 culturali, le riduzioni previste a favore dei fabbricati vincolati.
    Accortosi  dell'errore  ha rivolto domanda di rimborso; non avendo
 ricevuto risposta  il  ricorrente  si  e'  rivolto  alla  commissione
 tributaria   impugnando   il   silenzio-rifiuto  dell'amministrazione
 finanziaria.
    L'ufficio  imposte  ha  depositato  agli  atti  della  commissione
 memorie  difensive  eccependo  per i versamenti effettuati negli anni
 1982, 1983, 1984 e 1985  la  mancata  presentazione  dell'istanza  di
 rimborso  nel termine di decadenza di diciotto mesi all'intendente di
 Finanza.
    Per i versamenti effettuati nell'anno 1986 l'ufficio  ha  rilevato
 che il ricorso e' stato presentato ad ufficio incompetente.
    Con  memoria  integrativa  il  ricorrente rilevava che il rapporto
 tributario tra contribuente ed amministrazione  fiscale  deve  essere
 considerato  aperto  fino allo spirare del termine indicato dall'art.
 43 del d.P.R. n. 600/1973, con la possibilita' di rettificare  errori
 materiali commessi a proprio danno dal contribuente entro cinque anni
 dalla data di versamento dei tributi.
    La commissione tributaria di primo grado di Venezia, sez. settima,
 con  decisione  n.  607  del  16  dicembre 1988, riuniti i ricorsi ha
 accolto  gli   stessi,   annullando   il   silenzio-rifiuto   opposto
 dall'ufficio  imposte  ed ha ordinato all'amministrazione il rimborso
 delle somme indebitamente versate e percette.
    Avverso  la   suddetta   decisione   propone   appello   l'ufficio
 distrettuale  delle  imposte  dirette di Venezia chiedendo la riforma
 dell'impugnata  decisione  con  diniego  del  rimborso  invocato.   A
 sostegno  del  gravame rileva che nel rapporto tributario non si puo'
 pretendere l'instaurarsi di un regime di assoluta par  condicio,  dal
 momento  che  affinche' l'amministrazione finanziaria possa esplicare
 la propria funzione di accertamento deve avere a disposizione termini
 piu' ampi entro cui esplicare la funzione medesima.
    Rileva  che  non  e'  privo  di  giustificazione  che  l'interesse
 pubblico sia tutelato in modo diverso da quello privato.
    Resiste  all'appello  il  contribuente  chiedendo il rigetto dello
 stesso e la conferma dell'impugnata decisione.
                             O S S E R V A
    La  tesi  sostenuta  dai  giudici  di  prime  cure  ed   avversata
 dall'appellante   ufficio   distrettuale  delle  imposte  dirette  di
 applicabilita' dei  termini  previsti  dall'art.  43  del  d.P.R.  29
 settembre 1973, n. 600, alle istanze volte ad ottenere il rimborso di
 imposte erroneamente versate, non puo' essere condivisa.
    Infatti l'art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, stabilisce
 che  il soggetto che ha effettuato versamenti che ritenga viziati per
 eccesso a causa di  errore  materiale,  duplicazione  ed  inesistenza
 totale  o  parziale  dell'obbligo  di versamento deve presentare, per
 richiedere il rimborso, una istanza  alla  competente  intendenza  di
 finanza.
    Come  riconosciuto anche dalla Corte di cassazione, sezioni unite,
 con sentenza  del  9  giugno  1989,  n.  2786,  il  rimedio  previsto
 dall'art.  38  del  d.P.R.  29  settembre 1973, n. 602, e' imposto in
 maniera indifferenziata in tutti i casi di ripetibilita' del versato,
 tanto se riguardanti le operazioni di versamento quanto se  afferenti
 al  fondamento dell'obbligazione tributaria, cioe' all' an o al quan-
 tum del tributo.
    In  relazione  a  tale  norma,  della  quale   bisognerebbe   fare
 applicazione,   di  ufficio  si  prospetta  come  non  manifestamente
 infondata la questione di legittimita'  costituzionale  in  relazione
 agli artt. 3, 24 e 53 della Costituzione.
    Infatti  la  suddetta  disposizione  sancisce  una  disparita'  di
 trattamento  tra  fisco  e  contribuente  nell'ambito  dello   stesso
 rapporto  tributario,  essendo  consentito  al primo dall'art. 43 del
 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, di riaprire  in  via  esclusiva  il
 rapporto  tributario  e di determinarne la pendenza a proprio favore,
 mentre esso resta definito ed esaurito a tutti  gli  effetti  per  il
 contribuente.
    La  norma di cui trattasi osta alla pur certa qualificazione della
 dichiarazione dei redditi come dichiarazione di  scienza,  come  tale
 rettificabile   dal   contribuente   al  fine  di  eliminare  errori,
 inesattezze od omissioni. Inoltre, stante l'unitarieta' del  rapporto
 di imposta e la necessita' che il suo carattere definitivo lo investa
 integralmente,  la pretesa definitivita' del rapporto tributario deve
 riguardarsi non soltanto in relazione alle norme sulla riscossione di
 cui al d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, ma anche in  relazione  alle
 norme sull'accertamento di cui al d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.
    Tale   disparita'   non   trova   giustificazione   posto  che  il
 procedimento   impositivo,   introdotto   dalla   dichiarazione   del
 contribuente   e   proseguito   con   le   verifiche   degli   organi
 dell'amministrazione finanziaria, appare finalizzato soprattutto alla
 raccolta degli elementi atti alla giusta determinazione  del  reddito
 imponibile,  in osseguio al principio della capacita' contributiva di
 cui all'art. 53 della Costituzione, in base al quale in assenza di un
 fatto  espressivo  di  capacita'  contributiva  e'  illegitimo   ogni
 assoggettamento ad imposizione.
    L'interpretazione  accolta  dalla  commissione tributaria di primo
 grado, volta ad escludere la violazione del principio di  uguaglianza
 di  cui  all'art.  3  della  Costituzione,  non  puo' comunque essere
 effettuata  in  via  di  mero  adeguamento  affidato  all'interprete,
 richiedendo   l'interposizione   di   un   intervento   della   Corte
 costituzionale  tale  da  incidere sulle norme vigenti che impongo la
 decadenza senza rispettare  il  principio  di  parita'  tra  fisco  e
 contribuente nell'ambito del rapporto tributario.
    L'inesistenza  oggettiva  di  un  fatto  espressivo  di  capacita'
 contributiva  comporta   comunque   l'inidoneita'   soggettiva   alla
 obbligazione   di   imposta,   con   la   conseguente  illegittimita'
 costituzionale per contrasto con l'art. 53 della  Costituzione  della
 norma  che limita, in assenza del presupposto al quale la prestazione
 e' collegata, l'esercizio del diritto di ripetere  l'indebito  ad  un
 termine di decadenza anziche' di prescrizione.
    Infine  la  previsione  della decorrenza dalla data del versamento
 del termine di diciotto mesi per  la  presentazione  dell'istanza  di
 rimborso  e  il  conseguente  esercizio dell'azione di ripetizione in
 caso di esplicito o implicito rifiuto di rimborso puo' configurare un
 contrasto con l'art. 24 della Costituzione, primo comma, in  base  al
 quale deve essere garantito il diritto di agire in giudizio.
    Il precetto dell'art. 24, primo comma, della Costituzione comporta
 che  sia  garantita  l'effettivita'  della tutela. In applicazione di
 tale principio non si puo' escludere che l'esercizio del  diritto  di
 difesa  incontri limiti necessari a contemperare la tutela con quella
 pure  spettante  ad  altri  interessi  costituzionalmente  rilevanti,
 purche'  in  ogni  caso  detti  limiti  non  siano di entita' tale da
 comprometterne seriamente l'esercizio.
    Nella specie al momento del versamento non sempre e' conosciuto  o
 conoscibile  l'errore,  con la conseguenza che il termine di diciotto
 mesi non puo' essere fruito interamente dall'interessato.
    Pertanto si profila non manifestamente infondata la  questione  di
 legittimita'  costituzionale dell'art. 38, primo comma, del d.P.R. 29
 settembre 1973, n. 602, per contrasto con gli artt. 3, 24 e 53  della
 Costituzione  nella parte in cui stabilisce che l'istanza di rimborso
 deve essere presentata a pena di decadenza nel  temrine  di  diciotto
 mesi dalla data del versamento diretto.
    La  questione  appare  rilevante  nel  presente  procedimento  dal
 momento che il contribuente, se non fosse  decaduto  dal  diritto  al
 rimborso,  beneficerebbe  del  diritto  al rimborso dei versamenti di
 imposta effettuati negli anni 1982, 1984 e 1985.